IL MUSEO INTERNAZIONALE DELLA PESCA A MOSCA IN ITALIA
Il museo italiano della pesca a mosca, inaugurato ufficialmente il 24 settembre 2000 a Castel di Sangro, nasce da un progetto della Scuola Italiana di pesca a Mosca. Alla sua realizzazione hanno contribuito l’Associazione Pescasportivi di Castel di Sangro, il Comune di Castel di Sangro, l’Archeoclub d’Italia sezione di Castel di Sangro e la collaborazione di Cavatorti Giorgio, esperto del settore ed attuale direttore del museo.
Il museo occupa due sale al piano terra del magnifico convento della Maddalena, struttura edificata per i Frati Minori Osservanti nel 1487 (come attesta un’iscrizione sull’architrave del chiostro), laddove in precedenza sorgeva un asilo dei Pellegrini della Pietà Sarentina. Severo all’esterno, con il bel rosoncino sul portale della chiesa, si rivela fine ed aereo all’interno per il doppio loggiato, impreziosito nell’ordine inferiore da affreschi secenteschi illustranti episodi francescani, che racchiude il cortile con al centro un pozzo esagonale.
Oggi questo ambiente è essenzialmente un luogo di cultura, infatti,nelle sale al primo piano è operativo un museo di archeologia gestito dall’Archeoclub di Castel di Sangro, mentre altre sale sono dedicate a mostre temporanee di arte contemporanea e classica che richiamano artisti e visitatori da tutta Italia.
Il museo della pesca è dedicato a Stanislao Kuckiewicz, una sala raccoglie infatti gli strumenti che egli usava per le sue famose code in seta e le sue mosche eccezionali. A lui si devono innovazioni nel campo del lancio tecnico, ma soprattutto l’invenzione del famoso cucchiaino “Martin”, usato con successo dai pescatori di tutto il mondo.
Il percorso dell’esposizione vuole ripercorrere le tappe fondamentali nell’evoluzione della pesca a mosca in Italia, tenendo presente che la maggior parte dell’attrezzatura antica presente in Italia è di origine anglosassone o americana. L’obiettivo del progetto è quello di allestire una raccolta bibliografica dei volumi più significativi nell’evoluzione della pesca a mosca insieme ad una raccolta di accessori una volta di uso comune tra i pescatori, ma che oggi sono stati dimenticati. In questo momento disponiamo già di una discreta collezione di attrezzature proveniente da donazioni, ma cogliamo l’occasione con questo articolo per lanciare un appello di collaborazione a singoli pescatori o a club, sia per la ricerca di documentazione, sia per il reperimento di attrezzature italiane di importanza storica. Bene accetto sarà ogni tipo di suggerimento.
La pesca a mosca di massa è relativamente giovane in Italia, sebbene in qualche piccola zona si praticasse già negli anni trenta e quaranta. Una delle prime zone fu la valle del fiume Sesia, dove con canne lunghe circa tre metri,lenze costruite in crine di cavallo e due o tre mosche artigianali, si insidiavano trote e temoli. Essendo queste canne prive di mulinello ed avendo la lenza più lunga della canna di due o tre volte, la lenza veniva fatta volteggiare in modo ellittico.
Le mosche usate a quel tempo erano costruite con materiali molto poveri come penne di gallina e sete da cucito.
Altra zona di origine della pesca a mosca italiana è l’area vigevanese , mentre nella vallata del fiume Sangro, con canne denominate “scuriazzo” o “scriazzo”, canne più corte della valsesiana ma con lenze e mosche simili, si pescavano le allora numerose trote autoctone. La pesca a mosca ha origini antichissime, basti pensare che all’interno del British Museum di Londra è custodito un bassorilievo egiziano raffigurante un personaggio dell’epoca intento a pescare con un attrezzo da cui partono varie lenze e una farfalla accanto.
Nella sua opera “Della natura degli Animali” , lo scrittore Claudio Eliano (170-230 D.C.) descrisse alla fine del secondo secolo D.C. i procedimenti della pesca a mosca in modo approfondito, soffermandosi sulla costruzione di alcuni artificiali e sul metodo di pesca a mosca dei macedoni, allora abitanti della Grecia. Dei Romani sappiamo che, quando invasero l’Inghilterra, pescavano i salmoni e le trote nel Tamigi e nel Tyne con una mosca denominata “Plumme”. Per quanto riguarda la pesca a mosca moderna , il punto di riferimento è il volume” Pescare con una lenza” scritto dalla Badessa del monastero di Sopwell vicino a St.Albans nell’Hertfordshire, Inghilterra. In questo libro, scritto nel 1496, la Badessa Juliana Berners descrive con minuzia di particolari una dozzina di ricette per la costruzione di mosche artificiali.
Nel 1653 Izaak Walton scrive il libro più famoso di tutti i tempi sulla pesca a mosca “The Complete Angler”. Qui ci sono riferimenti anche a materiali per la costruzione di canne: le prime per la pesca a mosca erano in legno di Lancewood (Oxandra lanceolata) e in greenheart (ocotea radiaei), solo più tardi si è passati al bambù refendù, ovverosia sei listelli di bambù stagionato incollati assieme. In seguito, al bambù si è sostituita la fibra di vetro, oggi rimpiazzata dal moderno carbonio.
Per i mulinelli da mosca non ci sono state invenzioni fondamentali, se si eccettua una costante ricerca di materiali sempre più leggeri e resistenti. Molte innovazioni hanno invece riguardato la costruzione delle mosche artificiali. Dalle prime mosche costruite con materiali poveri e di facile reperibilità si è arrivati alla ricerca esasperata di materiali sempre più sofisticati e a metodi di costruzione molto laboriosi. Se da una parte oggi possiamo vantare nuove tecniche di lancio, metodi costruttivi moderni, mosche più resistenti e durature e materiali innovativi che ci permettono di lanciare le nostre mosche a grandi distanze, dall’altra dobbiamo constatare un preoccupante impoverimento di pesce nelle nostre acque, a volte anche dovuto alla mancanza di cultura da parte di noi pescatori.
L’intento della Scuola Italiana di pesca a Mosca di diffondere questa tecnica di pesca ha come obiettivo la tutela e la salvaguardia dei nostri fiumi attraverso la diffusione del “catch and release”, cioè la reimmissione del pesce in acqua. La pesca a mosca quindi, che come tecnica di pesca consiste nel presentare al pesce un’ imitazione di artificiale montato su di un amo possibilmente senza ardiglione, rende possibile preservare il patrimonio naturale. E’ necessario però osservare alcune regole fondamentali: bagnarsi le mani prima di toccare il pesce e usare ami senza ardiglione. Adottando queste precauzioni e tenuto conto che il pesce è sempre allamato nella zona labiale che è priva di centri nervosi, la mortalità del pesce riesce a rimanere al di sotto dell’1 %.
Il museo deve quindi essere visto in una duplice prospettiva: da un lato come punto di riferimento per chi è interessato a conoscere le tappe fondamentali della storia della pesca a mosca, dall’altro come invito a diffondere questa tecnica di pesca per contribuire a rispettare l’ambiente che ci circonda.
Concludiamo esortando tutti gli appassionati a visitare il museo, tra l’altro situato in una zona ricca di interessanti mete turistiche: Pescocostanzo, uno splendido paese fortunatamente risparmiato dall’ultima guerra, Roccaraso, per gli amanti dello sci, e Sulmona, famosa per la dolcezza dei suoi confetti.
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