Qualche tempo fa mi ero ripromesso di sistemare un po’ la mia piccola stanza dedicata alla pesca a mosca. L’obiettivo era quello di eliminare il superfluo e riorganizzare gli spazi ed il materiale, visto il caos che c’era. Sono subito andato a “scavare” in quegli angoli dimenticati delle cassettiere dell’armadio, sicuro che lì avrei trovato qualcosa di vecchio e non più utile da poter eliminare.
Sono venute fuori delle cose che avevo completamente dimenticato di avere, cose che in passato mi hanno accompagnato nelle mie uscite di pesca e alle quali non avrei mai rinunciato, che poi ho parcheggiato lì in quell’angolo, per un motivo o per l’altro che ora non ricordo.
Tra questo materiale “vintage”, sono saltate fuori anche alcune scatole porta mosche, di quelle in materiale plastico rigido con gli scomparti, oggi non più di moda, dove erano state ammassate
(è il termine corretto!) un po’ alla rinfusa, delle mosche che avevo costruito agli inizi della mia carriera di PAM.
Rovistando all’interno di quelle scatole, “riscoprendo” di fatto quegli artificiali, inevitabilmente la mente è tornata ai ricordi di quel passato. Guardando quei modelli ho rivissuto i momenti di gioia e di delusione che mi hanno dato in pesca, i fiumi che frequentavo, e dove li utilizzavo.
La mia attenzione è subito stata catturata da uno scomparto di una di quelle scatole , dove erano alloggiate alcune imitazioni di grossi plecotteri interamente costruite con hackle di gallo rosso naturale, erano delle imitazioni della mosca n. 450 della Serie 7 di Devaux.
Ricordo bene come in quegli anni era difficile, se paragonato ad oggi, reperire le informazioni ed i giusti materiali adatti a costruire delle efficaci imitazioni. Inoltre il materiale bibliografico a mia disposizione, salvo rare eccezioni, faceva quasi esclusivamente riferimento agli artificiali inglesi di stampo classico.
Fu in un numero della rivista Pescare nel 1984 , che trovai allegato un catalogo della ditta RP di Firenze, ed al suo interno aveva alcune pagine dedicate ad una discreta gamma di mosche del costruttore francese Devaux.
Avevo letto un gran bene di quegli artificiali (molto famosi all’epoca), del loro assetto in pesca e della loro efficacia, grazie al montaggio “avancé ” delle hackle (per le serie dedicate principalmente all’imitazione di effimere), ma non avevo mai avuto l’opportunità di provarle in pesca prima di allora. Le varie serie di mosche proposte nel catalogo comprendevano anche modelli con montaggi diversi , quali per esempio le imitazioni di ditteri, sedge e di mosche della pietra.
Mi misi subito all’opera, cercando di rintracciare in qualche modo i dressing di quei modelli, e, con l’aiuto anche delle foto del catalogo, riuscii a costruirne diversi, cercando di imitarne l’aspetto le proporzioni ed i colori.
Erano quelli gli anni in cui da “novello moschista” accompagnavo nelle battute di pesca un amico, vecchio pescatore a mosca, che avendo raggiunto l’età della pensione passava gran parte dell’estate nel suo paese di origine vicino alle mie zone.
Tra i vari fiumi, teatro delle nostre uscite di pesca, ci recavamo con una certa frequenza in un torrente che scende da un versante del Gran Sasso, incassato all’interno di una stretta valle, accessibile in modo comodo solo in pochi punti. Un’ambiente ostico, difficile da percorrere (in alcuni punti anche pericoloso), ma che ripagava quasi sempre con la sua generosità le fatiche fatte.
Era incredibilmente popolato di trote autoctone dalla livrea fantastica e dal carattere scontroso, come in poche altre parti ho trovato. Pesci rustici che misero subito a nudo le mie incapacità di principiante e la poca conoscenza di quegli ambienti. Dovetti adattare subito il mio approccio di pesca a quell’ambiente che non permetteva le mezze misure e non perdonava niente.
Un esempio su tutti, lì dovetti capire, dopo i diversi insuccessi dei primi approcci, cosa significava davvero non farsi vedere e udire dal pesce.
Il letto di quel torrente è costituito principalmente da grossi massi; si alternano tratti con minore pendenza caratterizzati da discrete buche e correntine, ad altri a forte pendenza con un susseguirsi di cascate e buche profonde scavate dalla forza delle acque. Date le sue caratteristiche orografiche, riceve in parte le acque di neve del Gran Sasso d’Italia, normalmente diventava “buono“ per la mosca secca, nei tratti che frequentavamo, non prima della tarda primavera, mentre i tratti a maggior pendenza e più turbolenti, diventavano pescabili solo a inizio estate, quando avveniva il primo sostanziale abbassamento dei livelli dell’acqua. Solo a seguito di queste condizioni, i tratti che in precedenza erano praticamente impescabili, lasciavano intravedere, nelle correnti che lambivano gli enormi massi, delle finestre di acqua più calma tra la schiuma delle cascate e delle rapide, dandoci la possibilità di approcciarlo con la mosca secca.
Lo stesso periodo stagionale quasi sempre coincideva con la massiccia schiusa di grosse mosche della pietra scure, che nonostante fossero raramente visibili direttamente sulla superficie liquida, tradivano la loro presenza dalla moltitudine delle fresche exuvie ninfali ancorate quasi su ogni sasso affiorante, e dagli individui adulti della specie che si affannavano a cercarsi sui sassi o i relitti di legno della riva. Si trattava di perlidi del genere Dinocras (specie Dinocras Cephalotes). Questi grossi insetti (gli adulti possono superare abbondantemente i trenta millimetri) sono un boccone che non passa inosservato ai pesci, e l’utilizzo di una imitazione adeguata spesso è la chiave del successo.
In quelle condizioni, l’utilizzo di imitazioni della mosca n. 450 della Serie 7 di Devaux, montata su amo del 10 e 12 a gambo lungo, nonostante non sia un’imitazione specifica di quell’insetto ma ne ricorda bene le fattezze, veniva presa senza esitazione quasi in ogni corrente, in ogni buca , in ogni rigiro, ed era l’unica che lasciata stazionare un po’ più a lungo senza dragare in quelle finestre tra la schiuma, o a fianco delle cascate che finivano nelle buche più profonde, riusciva a far salire gli esemplari migliori. In quelle condizioni avevo provato anche con altri artificiali, anche quelli che possedevano un galleggiamento superiore, ma i risultati non erano gli stessi. Questa aveva una marcia in più.
Provai ovviamente questo artificiale anche in altri ambienti, con discreti successi, ma mai con una resa pari all’utilizzo nelle condizioni specifiche sopra dette.
Per il resto della stagione questa imitazione rimaneva comunque una buona mosca da caccia , anche nei momenti meno produttivi della giornata, tanto che la alternavo, secondo le condizioni, ad una versione di Panama un po’ modificata rispetto al dressing classico.
Ho frequentato quel torrente con una certa assiduità per diversi anni. Era un’ambiente che mi affascinava, per me è stato come un libro ed un maestro allo stesso tempo, mi ha insegnato molto,
ma ho dovuto prima imparare a leggerlo. La passione assoluta e la testardaggine, mi hanno aiutato a superare i momenti di delusione, le uscite a vuoto e le giornate no, che un neofita incontra inevitabilmente sul suo cammino. Lì ho imparato l’approccio e le difficolta di quel tipo di acque.
La 450 di Devaux come artificiale, a mio avviso, non ha una struttura inaffondabile (se confrontato con certi modelli odierni), ma se ben costruito riesce egregiamente a sopportare certi contrasti di corrente, nonostante il corpo in raschietto di hackle viene facilmente ”catturato” dalle acque. Il sostanzioso collarino di hackle anteriore, e le 4 punte di hackle ad imitare le ali semi aperte, ne garantiscono un buon appoggio. Si pianta bene sulla superficie liquida (si fa posto) e non cede dietro.
La sua visibilità in pesca non è tra le migliori, se rapportata alle sue dimensioni, soprattutto in certe condizioni di luce. I suoi punti di forza, sempre a mio avviso, sono la classica deriva morta nelle correnti, lo stazionamento insistito nei punti particolari, e l’uso nelle buche dalle profondità maggiori.
Il dressing:
Amo: 10-12 lungo
Filo: bruno
Corpo: raschietto di hackle rosso naturale
Ali: quattro punte di hackle rosso naturale leggermente aperte
Hackle: gallo rosso naturale.
Testa: filo bruno
La mosca è molto semplice da realizzare, l’unica attenzione da prestare è quella di fissare le quattro ali in modo che mantengano anche in pesca un assetto leggermente divaricato (un po’ divaricata la prima coppia, ed un po’ di più la seconda), poste perfettamente orizzontali lungo il corpo a sopravanzare abbondantemente questo in lunghezza. Il collarino di hackle va distribuito su una superficie maggiore rispetto ad un montaggio classico. Per le ali non sono adatte certe hackle “genetiche“ che si trovano oggi in commercio. L’ideale sarebbe l’utilizzo di quelle hackle medio grandi tratte da un collo di gallo indiano o simile, poiché sono più larghe e dalla punta arrotondata. L’aspetto generale deve dare l’idea di un insetto in difficoltà.
Ovviamente non sono io a scoprire la 450 di Devaux, il suo potere catturante anche come artificiale da caccia era ben noto già nel passato. Oltre che per lo scopo per cui è stato creato (imitazione di grossi perlidi), è valida anche come imitazione generica di insetti di grandi dimensioni, che possono stuzzicare l’appetito e l’aggressività dei pinnuti in svariate situazioni.
A proposito del suo impiego e delle sue caratteristiche, vediamo cosa ne scriveva Roberto Pragliola nel suo libro “Trote e Mosche in acque veloci” più di trentacinque anni fa:
………“Devaux serie 7 modello n. 450
L’ultima mosca della giornata
Questa grossa imitazione di stonefly è una buona mosca da caccia e da Molla/Istinto.
E’ particolarmente indicata per i livelli alti e molto alti, nei pomeriggi più caldi e durante quel magico momento serale che ci separa dal buio alla ricerca dell’esemplare maggiore.
La 450 sa Farsi/Posto e reggerlo altrettanto bene e tollera con buona disinvoltura eventuali pattinamenti. Grazie a queste due ultime doti si dimostra particolarmente utile nelle correnti più forti e contrastate, soprattutto in quei tratti che per le loro Caratteristiche/Strutturali non ci consentono la possibilità di un uso razionale della coda. Buona per le pose curve e per tutti i Rallentati (ma con finali leggermente più corti), ma scadente nei lanci a scavalcare il nylon in profondità tramite il Lancio/Sovrapposto e in certi equilibri ”……………
Che dire, la 450 Devaux aveva trovato un posto anche tra la ristretta cerchia di artificiali ritenuti “buoni”, presentati in quell’opera.
Sono anni che non torno più su quel torrente, non conosco più la situazione generale delle sue acque e degli insetti ora presenti. Mi piace pensare che non sia cambiato nulla rispetto ai tempi che lo frequentavo con una certa assiduità.
Ho recuperato alcune di quelle imitazioni “ritrovate”, le ho messe nella scatola che ora uso per il torrente. Chissà la prossima stagione, quando i livelli saranno buoni, magari ci torno; o forse no, mi manca il coraggio, ho paura di non ritrovarlo come lo avevo lasciato.
A cura della S.I.M. – Gruppo Entomologia e Costruzione