Scrivere di pesca, in particolare di pesca a mosca e allo stesso tempo, riuscire ad essere originali nei contenuti, non è cosa semplice. Si corre il rischio di scrivere delle banalità e cose prive di interesse soprattutto perché quest’arte millenaria ha avuto numerosissimi estimatori, molti dei quali erano scrittori sopraffini. Nel tentativo di reperire notizie e curiosità che attraversano il corso dei secoli, ci si trova ad analizzare una serie di documenti e di fonti, per lo più provenienti dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti che,
nella maggior parte dei casi, fanno riferimento a loro volta, ad altri testi più o meno antichi. Da questa serie di documenti emerge tuttavia un unico, evidente filo conduttore che lega l’uomo alla pesca: ciò che nasce come mera attività di sostentamento e che come tale era inizialmente considerata, finisce nel giro di poco tempo, per divenire un’arte, un’attività di diletto e di piacere che pertanto merita di essere celebrata con parole, versi ed immagini. Da quel poco che ho avuto la fortuna di leggere, ho potuto comprendere che chiunque abbia scritto di pesci, di esche e di luoghi di pesca, ha amato profondamente questa disciplina e che un amore particolare ha pervaso l’animo di quei pochi e fortunatissimi pescatori a mosca che sono riusciti a manifestarle una profonda dedizione.
L’osservazione certosina dei luoghi, del comportamento dei pesci e degli insetti di cui questi si cibano, lo studio applicato con metodo scientifico e razionale hanno sempre ripagato il pescatore attento e più in generale l’uomo saggio. Riuscire infatti a comprendere, seppur marginalmente, la Natura ed i suoi ritmi, poter godere dei profumi e dei colori che questa riesce ad esprimere, ammirare la vita che scorre sotto il nostro naso e condividere tutto questo con l’amico fidato ed insostituibile che abbiamo la fortuna di accompagnare sul fiume. Questo è quello che ci viene dato in cambio e credo che poche altre attività possano fare tutto questo. Mi ritengo perciò solo un privilegiato. Vivo la pesca, in particolare la pesca a mosca, con diletto, come l’espressione di quell’antico rapporto che esiste tra uomo e natura, cercando di stare in pace con me stesso e con tutto ciò che mi circonda, nella speranza che ciò che è stato per secoli, continuerà ad essere..
Ho sempre pensato alla pesca a mosca come ad un’attività tipicamente inglese e forse, questo mio giudizio è dovuto al fatto che proprio in Inghilterra, nel corso del 1800, si sono avute le maggiori innovazioni di questa superba tecnica di pesca. Non a caso si ritiene che la forma più vicina a quella odierna si sia sviluppata proprio lungo le veloci acque dei torrenti e dei fiumi della Scozia e del Northern England, così come non è un caso se i maggiori cultori di questa disciplina, almeno sino agli inizi del ‘900, erano tutti sudditi di Sua Maestà.
Tuttavia la pesca a mosca ha origini antichissime al pari delle altre tecniche; la pesca infatti, insieme alla caccia, deve essere considerata come la prima attività organizzata dall’uomo per soddisfare il bisogno di cibo.
Nel corso dei secoli quindi, le tecniche usate per catturar pesci sono state le più disparate: dalle più semplici, rappresentate dall’uso di trappole, archi e frecce o lance, alle più articolate che prevedevano, proprio come oggi, l’uso degli ami e delle lenze.
Proprio gli ami rappresentano la testimonianza di come le diverse culture ed i diversi periodi storici abbiano lasciato tracce precise di quest’arte: sappiamo con certezza che erano conosciuti già nel 9000 A.C. poiché in Palestina ne sono stati ritrovati di risalenti proprio a quel periodo. I reperti archeologici ci parlano di ami realizzati in osso, altri ancora in rame, poi in bronzo ed infine in ferro. I nativi Americani invece, ancora nel 1800, utilizzavano gli artigli degli uccelli rapaci.
La pesca insomma è mutata di pari passo con la nostra evoluzione, con le nostre scoperte e con la tecnologia di volta in volta disponibile ma la pesca a mosca, forse, è la tecnica che tra le altre e più delle altre, ha mantenuto inalterate le sue caratteristiche peculiari, prima tra tutte l’uso, come esca, di imitazioni di insetti acquatici.
In ordine di tempo, la prima seppur incerta testimonianza relativa all’esistenza di una pesca a mosca “embrionale”, è rappresentata da un bassorilievo egizio conservato al British Museum di Londra che raffigura una persona nell’atto di pescare mediante l’uso di lenze alla cui estremità erano legate esche molto simili a farfalle.
Purtroppo durante la mia ultima gita a Londra, per quanto a lungo io abbia girato il British Museum (in particolare la sezione dedicata all’antico Egitto), non sono riuscito a trovare questo famoso bassorilievo e scattare una bella foto; troppi reperti da ammirare e tra i quali perdersi…
Risalendo la Storia e lasciandoci alle spalle l’affascinante e misterioso periodo dei Faraoni, possiamo avere fonti più certe dell’esistenza di tecniche in parte simili alla nostra pesca a mosca, già nel corso del I° secolo dopo Cristo. Infatti, grazie allo scrittore romano Claudio Eliano (170-235 D.C.) è giunta sino a noi l’opera scritta in greco, dal titolo “Sulla natura degli animali” in cui l’autore fornisce informazioni e curiosità relative alla tecnica utilizzata dai pescatori macedoni lungo le sponde del fiume Astraeus (forse un canale ndr.) ed il procedimento mediante il quale questi realizzavano le loro esche artificiali montando fili colorati e piume sui gambi degli ami.
Sempre dalla cultura romana è inoltre possibile attingere informazioni e curiosità riguardanti la cattura di salmoni nel Tamigi e nel Tyne mediante l’uso di un’esca artificiale che all’epoca veniva chiamata “Plumme”, nome che sicuramente ricorda le nostre attuali mosche realizzate appunto con piume di uccelli.
Anche dal basso Medioevo giungono testimonianze scritte relative all’esistenza di questa tecnica: alcuni testi di origine celtica descrivono infatti la pesca alla trota ed al temolo utilizzando un amo rivestito di piume e filati.
Un altro esempio di testimonianza scritta è rappresentato da un estratto tratto dalla Harleian Collection 2389, dal titolo “A commonplace Book including Medical, Culinary, Arboricultural and Fishing Recipies, Charms and Instruction; 16th cent. Middle English” .
Il testo è esattamente questo:
“… in June, July an Agust in the vpper part of the water with an artificiall flye, made vppon your hooke with sylke of dyverse coloures lyke vnto the flys which be on the waters in these monethes, and fethers be good & pecokes and popiniayes.” (tratto da flyfishinghistory.com)
[1]Nonostante l’inglese arcaico si unisca, in questo caso, alle mie scarsissime doti di traduttore, il testo risulta comunque di facile interpretazione e quindi posso cimentarmi in una libera ed opinabilissima traduzione: in giugno, luglio ed agosto è possibile pescare in superficie con mosche artificiali costruite sull’amo con filati di vari colori, simili agli insetti che si trovano sull’acqua in questi mesi, usando piume di pavone e pappagallo.
Questo reperto è molto interessante dal punto di vista storico poiché anticipa un’altra opera fondamentale proveniente dal Medioevo inglese. Una pietra miliare della pesca in generale e della pesca a mosca in particolare che conferma come l’odierno Regno Unito possa e forse, debba considerarsi come la culla di questa particolare tecnica.
La badessa Juliana Berners e il “Treatyse of Fysshynge with a Angle”
Nel 1496 viene pubblicato per la prima volta “The Boke of St. Albans” dalla omonima tipografia inglese. Contiene dei saggi su caccia, falconeria, pesca ed araldica e proprio il saggio sulla pesca, scritto dalla badessa Juliana Berners, del monastero di Sopwell, nell’Hertfordshire (UK), fornisce delle spiegazioni molto precise sulle operazioni necessarie alla realizzazione della canna da pesca, delle lenze, degli ami e delle “montature” da utilizzare. Spiega come insidiare i pesci, dove pescarli a seconda della stagione e, pare per la prima volta, ammonisce che il pescatore deve essere accorto a non farsi scorgere dal pesce e deve pescare con il sole di fronte in maniera tale da non proiettare alcuna ombra sull’acqua.
A volte mi chiedo, nonostante sei secoli di storia, quanto spesso dimentichiamo questi saggi consigli e quante volte gli insuccessi derivano proprio dalla superficialità con cui si affronta il fiume.
La parte più interessante del trattato, almeno per noi moderni pescatori a mosca, è rappresentata dall’ottima descrizione delle ricette necessarie alla costruzione di alcune mosche artificiali da utilizzare in base ai mesi dell’anno.
Anche in questo caso provo a fornire una traduzione “libera” dei dressing della Berners :
Marzo – The dun Fly: Il corpo in lana grigia e le ali in piume di pernice.
Altra Dun Fly. Corpo in lana nera, ali in anitra nera (maschio), piume di ghiandaia al di sotto delle ali e della coda.
Aprile – The Stone Fly: Corpo in lana nera, gialla al di sotto delle ali e della coda, ali in anitra nera (maschio).
Agli inizi di maggio, un’ottima mosca. Corpo in lana tinta rossa avvolta con seta nera, ali in anitra nera (maschio) e hackles di gallo cappone rosso.
Maggio – The Yellow Fly: Corpo in lana gialla, ali in hackles di gallo rosso e di anitra maschio tinte gialle.
The Black Leaper: Corpo in lana nera avvolta con herl della coda di pavone, ali in penna del collo di gallo rosso, testa blu.
Giugno – The Dun Cut: Corpo in seta nera ed una striscia gialla su entrambi i lati, ali in penna di poiana legate con canapa trattata con “tanbark” (dovrebbe trattarsi di un trattamento teso ad impermeabilizzare ricavato utilizzando tannini estratti dalle piante ndr).
The Maure Fly: Corpo in lana scura, ali in penna nera di anitra selvatica maschio.
The Tandy Fly at St. William’s Day: Corpo in lana tandy (probabilmente un tipo e colore di lana, forse beige ndr.), ali in piuma del petto d’anitra (le più bianche), montate l’una opposta all’altra (punte divergenti ndr.)
Luglio – The Wasp Fly: corpo in lana nera anellata con filo giallo, ali in poiana.
The Shell Fly at St. Thomas’ Day: corpo in lana verde avvolto con herl della coda di pavone, ali in poiana.
Agosto – The Drake Fly: corpo in lana nera avvolto con seta nera, ali in penna di petto di anitra nera, testa nera.
Dulcis in fundo le immagini di due riproduzioni odierne ritenute (da me) fedeli ai dressing originali della badessa.
Il VII Secolo
Gli anni trascorrono veloci in questa breve cronistoria ma la pesca a mosca, come vedremo ed almeno per ora, resta sempre legata all’Inghilterra.
Dal trattato della badessa, oltre ai dressing degli artificiali appena descritti, è anche possibile stabilire la tipologia di attrezzatura e la tecnica di pesca utilizzata sino agli inizi del XVII secolo.
Le canne erano sovente realizzate in legno di diverse essenze, in 2 pezzi, lunghe circa 14 piedi. Le “code” dell’epoca erano realizzate in crine di cavallo intrecciate tra loro e fissate sulla vetta della canna. I mulinelli invece, al pari dei “falsi lanci”, non erano ancora stati inventati.
La tecnica di lancio era praticamente inesistente e con ogni probabilità, l’esca artificiale veniva lanciata in modo semplice ed intuitivo, semplicemente sollevando la canna e lasciando cadere l’esca in acqua, in balia del vento.
Nel corso del 1600 infatti, LAWSON descrive per la prima volta quello che potremmo definire lo “stato dell’arte” della tecnica di lancio: egli avvertiva i pescatori che la lenza doveva essere lunga circa due volte la lunghezza della canna, doveva avere un tip realizzato con tre crini di cavallo ed occorreva scegliere degli ambienti larghi e spaziosi, privi di alberi sulle sponde, in pomeriggi nuvolosi e ventosi; LAWSON sosteneva che in questo modo si imparava la tecnica di lancio della mosca e questo può essere ritenuto una conferma di quanto scritto poc’anzi: la riuscita del lancio era demandata alla forza ed alla direzione del vento più che all’abilità del singolo.
A parte queste essenziali ma importantissime informazioni, l’Inghilterra del 1600 non ha molto altro da aggiungere sulla pesca a mosca; in quegli anni il popolo inglese stava scrivendo la sua storia civile e giuridica e ben altro calibro e rilevanza hanno i documenti che sono giunti sino a noi.
Nel 1642 inizia infatti la guerra civile, anche nota come prima Rivoluzione inglese, che finirà solo diciotto anni dopo, nel 1660 e che vede, all’interno di questo periodo, la creazione del Commonwealth – la prima Repubblica inglese – la cui guida e protezione vennero affidate ad un altro celeberrimo personaggio: Lord Oliver Cromwell.
Gli anni di Izaac Walton
Sul finire della guerra civile, fortunatamente per noi, sono apparse le opere di alcuni importanti autori, veri e propri miti della pesca a mosca. Parliamo di scrittori come Izaac Walton, Charles Cotton, Thomas Barker, Richard Franck e Robert Venables.
Quest’epoca è probabilmente quella in cui la pesca a mosca inizia ad acquisire i connotati della disciplina studiata ed insegnata, oltre che semplicemente praticata.
Sebbene non sia ancora giunto il momento del suo massimo sviluppo, proprio grazie a questi autori, abbiamo informazioni sufficientemente precise relative alla tecnica ed alle attrezzature usate.
Sappiamo ad esempio, che le canne erano spesso fabbricate “in casa” dai singoli pescatori, non essendo ancora comparse le prime aziende specializzate del settore.
Erano sempre realizzate in legno e ricoperte da un sottile strato di pelle conciata ed arrivavano a misurare lunghezze anche considerevoli; pare ad esempio che Charles Cotton prediligesse canne ad una mano lunghe anche fino a 18 piedi!
Sappiamo inoltre che il bamboo non veniva ancora impiegato nella costruzione e che i legni più usati ed adatti, erano il nocciolo, il prugnolo selvatico ed il melo selvatico.
Il nocciolo , grazie alle sue doti di leggerezza e di resistenza, rappresentava la quasi totalità della lunghezza della canna; spesso la sommità veniva tagliata e su questa si innestavano circa due piedi di prugnolo o di melo che, a loro volta, venivano tagliati per innestare un piccolo pezzo di osso di balena affusolato sul quale, già alla fine del 1700 inizia a comparire l’anello apicale.
In quegli anni anche le code erano artigianali e venivano realizzate in crine di cavallo, in pura seta oppure miscelando tra loro questi due elementi; avevano un profilo conico, con meno materiale in punta, fino a tre o anche solo due crini, per le mosche più piccole ed i pesci più diffidenti.
I primi mulinelli invece faranno la loro comparsa solo sul finire del secolo ed avevano, come oggi, lo scopo di evitare che il pescatore mantenesse con la mano la parte di coda eccedente la lunghezza della canna.
L’aspetto legato alla tecnica di lancio è poi veramente interessante.
Anche a distanza di anni dai consigli di Lawson, sappiamo con certezza che i pescatori dell’epoca erano vincolati, nella loro azione, dalle condizioni meteorologiche della giornata.
I lanci in realtà, almeno come li conosciamo noi oggi, non esistevano ancora e come detto poco sopra, la coda e la mosca spesso venivano semplicemente poggiate sull’acqua sfruttando proprio la forza e l’intensità del vento.
Le condizioni migliori allora erano rappresentate da quelle giornate nuvolose e ventose che, da un lato, permettevano di “lanciare” con facilità l’esca (a risalire o a scendere proprio in ragione della direzione del vento) e dall’altro, consentivano al pescatore di mimetizzarsi meglio con l’ambiente circostante evitando di esporsi al rischio di proiettare la propria ombra nel cono visivo del pesce.
Al riguardo mi pare interessante notare come a prescindere dalla tecnica di lancio e dalla sua evoluzione, così come dall’evoluzione dei materiali utilizzati, anche al giorno d’oggi una buona giornata di pesca è spesso una giornata fresca e nuvolosa; per dirla con il Vico: corsi e ricorsi storici…
Ma veniamo a Izaac Walton.
Nasce nell’agosto del 1593 a Stefford da una famiglia di commercianti.
Sin da giovane si trasferisce a Londra dove lavora dapprima come addetto ad una ferramenta e successivamente ne apre una tutta sua. Dopo la sconfitta della fazione monarchica, nella battaglia di Marston (1644), lascia l’attività londinese per trasferirsi nuovamente nei pressi di Stefford dove aveva nel frattempo acquistato alcune proprietà, tra le quali, l’appezzamento di terreno vicino Shallowford sul quale è poi nato l’odierno Museo a lui intitolato. In questi anni si dedica prevalentemente alla coltivazione dei suoi interessi extra professionali, inzia a scrivere alcune famose biografie e soprattutto, si dedica alla sua passione: la pesca. Nel 1653 pubblica la prima edizione della sua opera più importante e conosciuta, “The Compleat Angler”, forse uno dei libri più pubblicati nella storia della letteratura inglese!
Dopo la prima pubblicazione Walton continuò per quasi venticinque anni ad integrare il suo trattato che è una sapiente ed intelligente celebrazione in prosa e versi dell’arte della pesca, scritta in collaborazione con altri autori tra i quali Thomas Barker e l’amico e compagno di pesca Charles Cotton, co-autori proprio dei capitoli dedicati alla pesca a mosca.
Walton crea le figure dei protagonisti del suo racconto, il “Piscator”, il “Venator” ed il falconiere “Auceps” (nella prima edizione i personaggi erano solo due, Piscator e Viator – pescatore e viaggiatore) che danno vita ad un dialogo divertente ed a tratti spensierato dove il pescatore insegna le tecniche e la filosofia di pesca al viaggiatore ed al falconiere, intervallando ogni lezione con dei bellissimi versi in rima.
Il pescatore spiega le tecniche migliori per insidiare cavedani, trote, temoli, carpe, tinche, lucci, persici e salmoni ed indica, per ogni pesce, quali sono i periodi più propizi per la loro cattura, le esche migliori e le modalità con cui reperirle, conservarle e maneggiarle.
Il 3° ed il 4° capitolo sono dedicati, rispettivamente, alla descrizione della natura e delle abitudini della trota ed alla descrizione della pesca a mosca e dei metodi costruttivi degli artificiali.
Di seguito ne trascrivo alcuni passaggi che spero invoglino alla lettura di quest’opera unica nel suo genere e peraltro liberamente fruibile in rete tramite il sito del Progetto Gutenberg (www.gutenberg.org).
Chap. IV
…
Venator: Oh my good Master, this morning walk has been spent to my great pleasure and wonder: but I pray, when shall I have your direction how to make Artificial flyes, like to those that the Trout loves best? and also how to use them?
Piscator: My honest Scholer, it is now past five of the Clock, we will fish til nine, and then go to Breakfast: Go you to yonder Sycamore tree, and hide your bottle of drink under the hollow root of it; for about that time, and in that place, we wil make a brave Breakfast with a piece of powdered Bief, and a Radish or two that I have in my Fish-bag; we shall, I warrant you, make a good, honest, wholsome, hungry Breakfast, and I will give you direction for the making and using of your fly:
and in the mean time, there is your Rod and line; and my advice is, that you fish as you see mee do, and lets try which can catch the first fish.
Viator: I thank you, Master, I will observe and practice your direction as far as I am able.
Bellissima anche la poesia “The Angler Song”, il Canto del Pescatore, tratta sempre dal quarto capitolo, di cui trascrivo la prima strofa anche per evocare la filosofia di vita di Walton e la sua davvero invidiabile serenità.
As inward love breeds outward talk,
The Hound some praise, and some the Hawk,
Some better pleas’d with private sport,
Use Tenis, some a Mistris court:
But these delights I neither wish,
Nor envy, while I freely fish.
Con ogni probabilità, proprio l’aver vissuto i suoi anni con assoluta serenità e l’essere riuscito a fare le cose che più amava, hanno consentito ad Izaac Walton di raggiungere la venerabile età di 90 anni, in un’epoca in cui l’aspettativa di vita si aggirava intorno ai cinquanta.
Si è spento il 15 dicembre del 1683 nella città di Winchester dove, all’interno della Cattedrale, sono conservate le sue spoglie mortali ed è è possibile ammirare una finestra dipinta, dono dei pescatori inglesi ed americani, che lo raffigura mentre pesca nel Itchen e riporta una frase che, probabilmente, riassume tutta la sua filosofia di vita: “Study to be Quite”.
Izaac Walton, da quando ho scritto quest’articoletto è diventato il mio personaggio storico preferito. Non gli manca nulla, era inglese, pescatore a 360°, a suo modo ambientalista, spirito libero e soprattutto… amante della contemplazione. Credo che chiunque abbia avuto la fortuna di pescare insieme a lui si sia sentito un privilegiato.
Il lavoro congiunto di Walton, Cotton e Barker rappresenta senza dubbio una pietra miliare della letteratura sulla pesca a mosca.
Nel 1651, Barker pubblica anche “The Art of Angling” che viene poi ripubblicato nel 1657 con il titolo “Barkers Delight” in cui vengono descritti alcuni modelli di mosche artificiali e alcune basilari istruzioni per la loro realizzazione.
Cotton, come detto, integra il lavoro di Walton e nell’edizione del 1676 di “The Compleat Angler” scrive il meraviglioso capitolo “Instruction how to Angle for a Trout or Grayling in a Clear Stream” in cui oltre alla tecnica di pesca, descrive minuziosamente la realizzazione di circa sessanta modelli di mosche artificiali originali, relativamente semplici da realizzare ma sempre ideate grazie all’osservazione approfondita degli insetti naturali.
In questo periodo le mosche erano divise in due grandi categorie: le palmer e quelle che oggi chiameremo “no-hackles”. I materiali impiegati erano comunissimi e facilmente reperibili essendo costituiti essenzialmente da filati in seta o in lana e da penne e piume di volatili quali anitre selvatiche, galli o pavoni, oltre che dal pelo di qualche animale più o meno selvatico (orso, maiale e mucca).
Proprio l’uso del pelo animale per la realizzazione dei corpi è stata una caratteristica peculiare delle sole mosche di Sua Maestà per molti anni, almeno sino agli inizi del 1700, erano le prime ed uniche mosche i cui corpi erano realizzati in dubbing.
A parte le “gemme” rappresentate dal lavoro degli autori appena citati, il 1700 inglese ci consegna
anche altre, seppur marginali, innovazioni legate soprattutto alla produzione ed alla
commercializzazione dell’attrezzatura.
Degne di nota sono le piccole modifiche apportate alla costruzione delle canne che smettono di
essere prettamente artigianali o meglio, “fatte in casa”, per diventare oggetto di produzioni più o
meno organizzate tipiche di quest’epoca, in cui iniziano a comparire i primi embrioni di imprese
specializzate del settore.
Sono sempre fatte di legno e le essenze più usate sono il salice per il butt e il classico nocciolo
innestato con osso di balena per il tip; solo verso la metà del 1700 inizia a fare la sua comparsa il
bamboo, utilizzato, per lo più, per la costruzione dei tip delle canne da salmone.
La lunghezza delle canne rimane ancora invariata e per certi versi ricalcava le nostre convinzioni. Le12 piedi erano piuttosto comuni ed erano utilizzate con code che terminavano con 2 o più crini.
Quelle più corte, circa 9 piedi, erano utilizzate per la pesca “leggera” ed erano quindi accoppiate
con code che terminavano con un solo crine, per acque calme e pesi diffidenti.
Gli innesti vengono rinforzati con ghiere di ottone che però creano non pochi problemi di peso e di
affidabilità di tenuta.
Anche gli anelli guida filo iniziano ad aumentare di numero non essendo più relegati alla sola vetta.
Tuttavia, anche in questo caso, l’innovazione ha bisogno di essere testata e migliorata: gli anelli
infatti non incrementano di molto la performance di lancio ed inoltre tendono a staccarsi dal corpo
della canna se sottoposti a stress intensi e prolungati, proprio come la lotta con un bel pesce…
Le code venivano ancora realizzate artigianalmente sebbene, anche in questo caso come per le
canne da pesca, sul finire del secolo, iniziarono a fare la loro comparsa le prime aziende
specializzate capaci di produzioni in serie e di una buona differenziazione di prodotti.
Anche i mulinelli cominciano a far parte della dotazione “di serie” dei pescatori a mosca ed anzi, neviene prodotto e commercializzato un modello con moltiplicatore di avvolgimento molto utile per la pesca al salmone.
Le mosche invece sono ancora legate alla serie realizzata dal grande Charles Cotton e sono ancora
divise nelle due grandi categorie delle palmer e delle no-hackles.
Il collarino in hackles di gallo a ridosso del torace e delle ali sarà infatti “inventato” solo qualche
anno più tardi.
Altro particolare degno di nota è la comparsa dei primi negozi specializzati che sono in grado di
fornire i pescatori di tutto l’occorrente con una buona differenziazione e varietà di prodotti, dalle
canne alle lenze, alle esche vive e artificiali, code, mulinelli ed accessori vari.
La pesca insomma in questi anni comincia ad acquistare sempre maggiore importanza tanto da
coinvolgere un numero crescente di persone e proprio in questo periodo si gettano le basi per i
grandi cambiamenti e le importanti innovazioni realizzate nel secolo successivo, ma questo sarà
oggetto del prossimo capitolo.
Ottavio Argenio
Immagini gentilmente fornite dalla collezione di Giorgio Cavatorti.
Per la stesura di questo articolo sono state utilizzate le seguenti fonti;
• flyfishinghistory.com
• seventheencenturyflies.blogspot.com
• wikipedia.org
• The Compleat Angler