Avrei voluto alzarmi presto e invece non ho nemmeno sentito la sveglia. Stai a vedere che ieri sera magari non l’avevo neanche messa, chissà. Sarà per via della fatica accumulata sul lavoro fra riunioni interminabili e cantieri cronicamente in ritardo. L’è stéss, due ore di sonno in più del previsto sono sempre meglio di niente. E poi, per dirla tutta, oggi ho preso un giorno libero e vado a pesca. L’unico rimpianto è che arriverò sul torrente poco prima di mezzogiorno, quando si alzerà il vento da nord previsto dal meteo (il meteo è un servizio che ormai non sbaglia più un colpo; io preferivo quello di prima, meno precisino, perché lasciava più spazio alla fantasia).
Quello da nord è un vento sfavorevole alla PAM, porta aria continentale gelida e secca che inibisce le schiuse degli insetti acquatici in modo radicale. Anche il lancio e tutta l’azione di pesca ne risentono.
Ritengo utile affrontare queste condizioni a ninfa, e non solo per via dell’assenza di attività superficiale ma anche perché in presenza di forti folate di vento risulta più facile pescare corto usando artificiali piombati.
Parto da Berna verso le 10:30 del mattino e la temperatura è sorprendentemente alta, i rami degli alberi sono immobili. Chissà, forse il meteo una volta tanto si è sbagliato.
Vana speranza: appena oltrepassato il colle del Grauholz sull’autostrada diretta a nord verso il Giura sono accolto da una bordata di vento in pieno parabrezza. Dopo pochi minuti il termometro sul cruscotto indica che la temperatura esterna sta precipitando. Ti pareva…Un’ora dopo sono sul torrente.
Mi siedo sull’erba della riva destra ed osservo lo scenario, che corrisponde alle mie aspettative: gran giornata di sole, cielo blu cristallino da emicrania, vento freddo a folate impetuose, non vola un insetto, non bolla una pinna.
Mi metto a passeggiare lungo il torrente per vedere come si comportano le trote oggi ma avvisto soltanto qualche trotella, le altre se ne stanno rintanate.
Come interpretare il torrente in queste condizioni chiaramente sfavorevoli e destinate a peggiorare col passare delle ore e l’aumentare della forza del vento?
Sul parcheggio, subodorando la situazione, avevo già montato la 10′ che uso per pescare a ninfa. Quando pesco a ninfa di solito inizio sondando il torrente con una ninfa generica. Annodo una classica GRHE (ovvero un ciuffo di pelo di lepre con un largo rigaggio dorato – semplice e catturante) al tip e inizio a pescare corto, facendo lavorare l’artificiale attorno ai sassi che mi ispirano. Non succede niente. Sostituisco la GRHE con uno streamerino nero e mi metto a pettinare le correnti di fino.
Idem.
Passa un’ora, forse di più, alternando ninfe generiche e streamerini vari. Mi annoio.
La pesca in caccia francamente non mi soddisfa nemmeno a secca dove almeno sussiste il lato estetico e divertente del lancio, figuriamoci pescando sotto la canna con artificiali piombati… sembra di stare alla catena di montaggio. Lo zio Fausto, mio Maestro di pesca ai tempi della canna fissa e del cucchiaino, nel nostro dialetto chiamava questa azione di pesca particolarmente fastidiosa “cribiaa l’acqua”, che in italiano significa “setacciare l’acqua con un crivello” – è tutto dire.
Smetto di pescare e mi siedo ad osservare il torrente senza pensare a niente. Poi entro in acqua e prelievo qualche sasso dal fondo. Nulla di particolare: le solite ninfe delle specie tipiche di questo torrente, ma niente che abbia già raggiunto la maturità della schiusa a parte qualche sporadica Baetis tipica della stagione.
Poi alcuni sassi affioranti su un raschio attirano la mia curiosità.
Sono sassi bianchi che spiccano nettamente sullo sfondo scuro del torrente. L’esperienza mi ha insegnato che sassi come questi possono celare belle sorprese entomologiche.
Mosso dalla curiosità sollevo la pietra ed eccola lì: un’imago di Baetis se ne stava appostata esattamente sotto quel sasso.
Si tratta di un esemplare dai colori splendidi, le ali sono piegate sul dorso. Scatto la fotografia senza esitare (gli insetti acquatici scappano via in pochissimi secondi, per fare foto di insetti tengo la macchina fotografica già regolata e pronta allo scatto nella mano destra e soltanto dopo sollevo il sasso con la sinistra, lo scatto parte d’intuito, come viene viene).
Un’idea inizia a germogliare nei miei PAM-neuroni. Scruto il torrente e vedo altri sassi semiaffioranti in una corrente profonda una ventina di centimetri. Mi metto a girarli uno dopo l’altro. La sorpresa si conferma: è pieno di immagini di Baetis. Questa ha le ali un po’ scassate, forse sono io il colpevole quando ho sollevato il sasso.
Scatto, chiedo scusa alla signora e rimetto il sasso in acqua intercedendo presso il Dio delle effimere perché abbia un occhio di riguardo su di lei.
Quest’altra signorina invece si è messa in posa come una diva del cinema al festival di Cannes davanti ai fotografi. Saranno solo insetti dai riflessi primitivi, ma è chiaro che per le effimere l’immagine conta parecchio.
Le femmine adulte di Baetis depongono le uova in un modo molto caratteristico. Dopo il volo nuziale, si immergono in acqua per andare ad incastonare le uova su un substrato favorevole sul fondo del fiume.
Personalmente ho osservato nel genere Baetis una certa predilezione per i sassi dal dorso emergente chiaro che contrasta sullo sfondo scuro dell’acqua del torrente. O forse sono soltanto io che sono fissato su questi sassi ed esamino solo quelli. Comunque sia, da quando ho preso dei waders grigio chiaro mi è capitato di osservare immagini di Baetis che si posano sui miei waders per poi immergersi in acqua lungo le mie gambe, proprio come se fossi un sasso bianco affiorante anch’io. Una volta deposte le uova, le immagini si lasciano portar via dalla corrente andando a morire nell’acqua o nello stomaco di qualche predatore. Proprio questo è il momento propizio alla pesca. Non è, infatti, raro osservare la presenza di trote che sembrano ninfare a mezz’acqua qualche metro a valle dei sassi semiaffioranti.
Non ninfano ma prendono appunto queste spent sommerse. Potremmo dire che “spentano” anche se questo brutto neologismo nei Sacri Testi non c’è.
Di solito per confermare un’ipotesi entomologica immergo a mezz’acqua il retino per catturare gli insetti portati dalla corrente. Oggi invece lascio perdere la verifica col retino. La presenza di immagini in acqua è un fenomeno che dura relativamente poco e non mi va di sprecarlo a giocare al piccolo entomologo, preferisco incannare una bella trota senza certezze entomologiche che sapere il nome scientifico dell’insetto ma non prendere una pinna. O no?
Apro la scatola delle sommerse e scelgo una classica “partridge&red”. Mosca semplicissima che però mi ha regalato momenti di grandissima soddisfazione. Quel giro di mezza (sic!) piuma di pernice vibra nell’acqua come se fosse un essere vivente o morente, mentre il corpicino di filo rosso aggiunge un tocco impressionistico molto suggestivo. Quanto basta per imitare le femmine di Baetis allo sbando dopo l’ovodeposizione. A questi due ingredienti classici personalmente aggiungo solo un piccolo torace in lepre grazie al quale la pernice non va ad incollarsi all’addome quando si bagna. Opinabile, anche perché il dressing classico non lo prevede.
Lascio perdere le buche profonde, vado direttamente a posare la sommersa dietro i sassi affioranti nonché al piede dei raschi, sempre a salire, ed anche questa volta la buona vecchia “partdridge&red” non mi tradisce regalandomi alcune catture. Intendiamoci, non è certo una giornata che entrerà negli Annali per il record di catture ma già il solo fatto di allamare qualcosa in condizioni così difficili è una soddisfazione.
Uso queste sommerse esattamente come se fossero mosche secche, avendo soltanto l’accortezza di usare molto le pose raggruppate in modo da far affondare di qualche centimetro l’artificiale e di pescare più corto rispetto alla secca per meglio gestire l’azione di pesca a sommersa.
Questo tipo di pesca a sommersa è una tecnica difficile perché abbina la difficoltà della pesca a secca in termini di lancio e posa e quella della pesca a ninfa perché spesso in superficie non si vede bollata o delfinata al momento in cui il pesce ingoia l’artificiale. Ma prendere una trota a sommersa, soprattutto in condizioni difficili come quelle di oggi, per me è una grande soddisfazione.
Spesso si legge che nella pesca a sommersa si riscontra un’alta percentuale di slamature. Personalmente non sono d’accordo, o meglio l’alta percentuale di slamature esiste effettivamente se peschiamo a sommersa rastrellando il fiume di 3/4 a scendere, che per me è una pesca a casaccio insopportabile per più di mezz’oretta. Nella sommersa corta a risalire, invece, l’attacco del pesce è deciso e facilmente riconoscibile, quindi se non si ha la mano troppo pesante nella ferrata è relativamente raro che il pesce si slami. Anche la morfologia particolarmente svestita delle mosche sommerse tipo “partdridge&red” contribuisce forse a favorire la penetrazione
dell’amo, soprattutto in confronto a certe mosche secche molto vestite o ad alcune ninfe con una grossa biglia in testa.
Esiste un nesso logico fra la presenza di imago sommerse di Baetis nel torrente, l’uso una mosca sommersa vagamente imitativa come la “partdridge&red” e le catture di trote fario? Non conosco la risposta a questa domanda, ho soltanto un’ipotesi vagamente plausibile.
Ma nella PAM le certezze sono talmente poche, un’incertezza od un’ipotesi in più o in meno fa lo stesso e non mi impedisce di gustarmi la giornata di pesca e di tornare a casa contento.
Durante il rientro, abbozzo mentalmente questo articolo e ripenso a questa ennesima giornata di pesca all’insegna delle Baetis, un umile esserino verde-grigio. Se il Creatore non avesse pensato a regalarci questo insetto presente in tantissime acque tutto l’anno in gran quantità e sotto tutte le forme – larva, ninfa, ninfa emergente, dun in tutte le salse compreso la dun stillborn e la dun sommersa, spinner, spent secca e spent sommersa – forse non avremmo avuto di che inventarci la pesca a mosca.
Sergio Rizzoli, 22.04.2011